L’assemblea

01/06/2017

assemblea-condominiale

L’assemblea di condominio, nell’ordinamento giuridico italiano, è l’organo deliberante del condominio, disciplinato dagli art. 1135, 1136 e 1137 del codice civile italiano ed e’ il luogo in cui vengono discusse, votate e adottate le decisioni relative alla vita di condominio.

L’assemblea condominiale è l’organo del condominio che assume le decisioni che riguardano le parti comuni del condominio stesso ed è composta da tutti i proprietari delle singole unità abitative. Tra i compiti dell’assemblea si ricordano:

  • la nomina, la conferma e la revoca dell’amministratore oltre alla retribuzione di quest’ultimo
  • l’approvazione dei preventivi delle spese e la loro ripartizione tra i condomini
  • l’approvazione del consuntivo annuale presentato dall’amministratore
  • la decisione in merito alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni (cioè i miglioramenti che si intendono apportare ai servizi comuni) costituendo obbligatoriamente un fondo speciale a copertura delle spese. Se i lavori devono essere eseguiti in base ad un contratto che prevede il pagamento graduale dei lavori in funzione dello stato avanzamento lavori, il fondo può essere costituito in relazione ai singoli pagamenti dovuti
  • la valutazione sui provvedimenti dell’amministratore
  • la decisione di intraprendere una causa a nome del condominio oppure di difendersi all’interno di un processo
  • l’attribuzione all’amministratore di poteri speciali
  • la modifica o l’approvazione del regolamento di condominio
  • le decisioni circa la modifica o l’approvazione della tabella millesimale
  • l’irrogazione della sanzione (pagamento di una somma) per le infrazioni al regolamento di condominio.

Più in generale all’interno dell’assemblea si assumono le decisioni che riguardano i rapporti tra i condomini e l’utilizzo delle cose comuni. L’assemblea, quindi,p non ha potere di intromettersi nella gestione che i singoli condomini fanno delle proprie unità abitative salvo che dal loro comportamento derivino dei danni per gli altri condomini oppure per le parti comuni.

All’assemblea condominiale partecipano in primo luogo i proprietari delle singole unità abitative che possono però delegare altri a partecipare (vedi la scheda sulla convocazione e partecipazione all'assemblea). In ogni caso, all’amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea.
Se la singola unità abitativa appartiene a più persone questi hanno tutti il diritto di partecipare all’assemblea, tuttavia il diritto di voto spetterà ad uno solo di essi.
Sicuramente hanno diritto di partecipare anche gli usufruttuari, cioè quei soggetti che hanno acquisito il diritto di utilizzare l’unità abitativa per un determinato periodo.
Ugualmente hanno diritto di partecipare anche gli inquilini (i c.d. conduttori) delle unità ad uso abitativo che hanno anche diritto di voto per quanto riguarda le decisioni che riguardano la modificazione di servizi di cui beneficiano (si pensi ad esempio al riscaldamento) nella misura in cui nel contratto di affitto è previsto che paghino direttamente le relative spese o le rimborsino al proprietario.
Restano quindi esclusi da questo diritto di partecipare (e di voto) i titolari di un contratto di affitto di immobili ad uso non abitativo, come ad esempio i negozi.

L'assemblea condominiale è il luogo in cui si assumono le decisioni più importanti relative alla vita del condominio. L'assemblea è composta da tutti i proprietari delle singole unità abitative, ma ad essa possono partecipare anche gli usufruttuari (cioè le persone che hanno acquisito il diritto di utilizzare l'abitazione per un determinato periodo) e gli inquilini in determinate circostanze. Si distingue tra assemblea ordinaria (convocata necessariamente per l'approvazione dei consuntivi e dei preventivi) e assemblea straordinaria (per la valutazione di specifiche situazioni).

L’assemblea condominiale deve essere convocata almeno una volta l’anno per l’approvazione dei conti della gestione, quindi dei preventivi di spesa e del consuntivo dell’anno precedente. In questi casi si parla di  :

a)    assemblea  ordinaria;

Puó venir convocata solo dall’amministratore, ovviamente anche su richiesta informale dei condomini. Un reiterato rifiuto della convocazione, potrebbe portare alla revoca del mandato di amministratore. Essendo il luogo in cui si formalizza l’ approvazione dei conti di gestione, andrà convocata obbligatoriamente almeno una volta all’anno. Secondo l’art. 1135, primo comma, c.c, all’interno dell’assemblea si condominio ordinaria si provvede a:
  • alla conferma dell’amministratore e dell’eventuale sua retribuzione;
  • all’approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l’anno e alla relativa ripartizione tra i condomini;
  • all’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore e all’impiego del residuo attivo della gestione;
  • alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni, costituendo obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori.
L’ordine del giorno, come visto, viene pertanto previsto, almeno in parte, dalla legge

L’assemblea può poi essere convocata tutte le volte che è necessario decidere su questioni particolari e si parla allora di

b) quella straordinaria.

Vi sono casi in cui l’amministratore è comunque tenuto a convocare un’assemblea straordinaria e ciò avviene quando:
  • vi è una richiesta di almeno due condomini che rappresentino almeno 1/6 del valore dell’edificio
  • vi è la richiesta anche di un solo condomino per decidere sull’installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva o per l’accesso ad una rete informatica
  • uno dei condomini decide di eseguire sulla sua proprietà esclusiva delle opere che possono provocare dei danni per gli altri condomini
  • uno dei condomini fa richiesta di installare sulla sua proprietà esclusiva un impianto di produzione di energia

Nonostante il potere d’impulso concesso ai condomini, l’amministratore non è obbligato a convocare l’assemblea di condominio straordinaria.

Secondo l’art. 66 disp. att. c.c., passati 10 giorni dalla richiesta di convocazione all’amministratore, I condomini potranno autoconvocarsi. L’ordine del giorno dell’assemblea straordinaria viene interamente deciso dall’amministratore.

Alla convocazione dell’assemblea provvede l’amministratore attraverso un apposito atto (la c.d. convocazione) che deve indicare in modo chiaro:

  • chi convoca l’assemblea
  • a chi è diretta la convocazione
  • il luogo, la data e l’ora in cui si terrà l’assemblea
  • le questioni che verranno esaminate nel corso dell’assemblea (il c.d. ordine del giorno)

Talvolta l’ordine del giorno termina con l’indicazione “varie ed eventuali”. Con questa dicitura si fa riferimento a questioni, che devono essere però marginali rispetto alla vita del condominio, che potranno essere trattate nel corso dell’assemblea. La convocazione deve giungere almeno 5 giorni prima della data di prima convocazione e può essere inviato per lettera raccomandata, fax o posta elettronica certificata (la c.d. P.E.C.) oppure ricevuta a mani. Questo termine si calcola tenendo in considerazione non il momento di invio della comunicazione, ma il momento in cui questa viene ricevuta dal singolo condomino. Nella convocazione deve essere specificata sia la prima che la seconda convocazione che deve essere fissata necessariamente in un giorno diverso dalla prima. Nella seconda convocazione infatti il numero minimo di partecipanti (il c.d. quorum) è infatti molto minore. Se l’amministratore manca la convocazione può essere effettuata da ciascun condomino. La convocazione deve essere indirizzata a tutti i soggetti che hanno diritto di partecipare e quindi:

  • ai proprietari delle singole unità (ed ai comproprietari)
  • agli inquilini quando hanno diritto di partecipare (vedi la scheda sull'assemblea ordinaria e straordinaria)
  • agli usufruttuari (cioè le persone che hanno acquisito il diritto di utilizzare l’abitazione per un determinato periodo).

Nel luogo e all’ora indicata nella convocazione si tiene l’assemblea. Il primo atto che viene compiuto è la nomina dei soggetti che materialmente gestiranno l’assemblea ovverosia:

  • il presidente (che ha il compito di organizzare la discussione e di curare la redazione del verbale)
  • il segretario (che ha il compito di redigere materialmente il verbale dell’assemblea).

Prima di procedere alla discussione delle questioni la legge prevede che si verifichi se è presente un numero minimo di condomini rappresentativo di una porzione minima del condominio. L’assemblea, infatti, può cominciare le operazioni soltanto se sono presenti:

  • in prima convocazione almeno la maggioranza dei partecipanti al condominio che rappresenti i due terzi del valore dell’edificio
  • in seconda convocazione almeno un terzo dei partecipanti al condominio che rappresentino almeno un terzo del valore dell’edificio.

Si parla in questo caso di quorum costitutivo. Nella verifica delle presenze a questi fini si deve tenere conto anche delle c.d. deleghe. Con questo termine si intende l’incarico che uno dei condomini conferisce ad altri (normalmente un altro condomino) di rappresentarlo in assemblea e di votare le singole deliberazioni al posto suo. In ogni caso, all’amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea. Le delega deve essere rilasciata per iscritto, non è sufficiente quindi una delega orale. Normalmente il delegato riceve delle istruzioni da parte del delegante alle quali deve attenersi. Tuttavia l’eventuale inosservanza di queste indicazioni da parte del delegato non ha rilievo sulle deliberazioni che, pertanto, resteranno valide. La legge stabilisce poi dei limiti al numero di deleghe che ciascun delegato può raccogliere. Infatti, nei condomini con più di 20 partecipanti, ciascun delegato non può raccogliere deleghe e, quindi, essere incaricato da più di un quinto dei condomini che rappresentino un quinto dei millesimi del condominio. Occorre però chiedersi come deve comportarsi l’amministratore quando l’assemblea inizialmente è validamente costituita ed è quindi presente il numero minimo di condomini richiesto dalla legge, ma successivamente alcuni di essi si allontanino facendo venire meno il quorum. Generalmente si ritiene che in questo caso l’assemblea non vada sciolta e la discussione possa continuare perché il momento rilevante per stabilire se vi è una sufficiente partecipazione dei condomini è quello iniziale.

Una volta esaurita la fase preliminare e, quindi, dopo avere verificato che l’assemblea è costituita dal numero minimo di condomini richiesto dalla legge è possibile passare alla discussione delle singole questioni e assumere le relative decisioni. Le decisioni vengono quindi messe ai voti e prendono la forma di deliberazioni. Con la deliberazione si forma la volontà del condominio e la deliberazione vincola anche i condomini che non hanno votato a favore (i c.d. condomini dissenzienti) o assenti, salvo ovviamente il diritto di ciascuno di impugnare la delibera stessa. Hanno diritto di voto tutti i soggetti destinatari della convocazione; se però una unità immobiliare è di proprietà di più persone, pur avendo tutti il diritto di partecipazione all’assemblea, l’unità potrà contare su un solo voto. Possono però verificarsi dei casi in cui la volontà di un avente diritto è in palese conflitto di interessi con la posizione del condominio. Si pensi all’ipotesi in cui un condomino abbia promosso una causa contro il condominio e si tratti di scegliere se difendersi all’interno di quel processo. In questo caso il voto del condominio in conflitto di interessi non verrà conteggiato ai fini di stabilire se è stata o meno raggiunta la maggioranza richiesta dalla legge. Le deliberazioni sono valide se raggiungono un numero minimo di consensi (il c.d. quorum deliberativo) che è diverso a seconda che ci si trovi in prima convocazione oppure in seconda convocazione e in ogni caso in considerazione delle singole questioni che vengono trattate. In linea di massima la delibera è valida se è approvata dalla maggioranza degli intervenuti a patto che rappresentino:

  • almeno la metà del valore dell’edificio se l’assemblea si tiene in prima convocazione
  • almeno un terzo del valore dell’edificio se l’assemblea si tiene in seconda convocazione.

La legge poi prevede che alcune delibere che riguardano questioni di particolare importanza vengano sempre adottate con maggioranze speciali. Devono essere adottate con la maggioranza dei presenti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio le delibere che riguardano:

  • la nomina e la revoca dell’amministratore
  • la decisione di intraprendere una causa o di difendersi in un processo che riguarda questioni che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore
  • la ricostruzione dell’edificio
  • le riparazioni straordinarie di notevole entità
  • la decisione di fare cessare le attività che incidono negativamente (e in modo sostanziale) sulle destinazioni d’uso delle parti comuni
  • le innovazioni per migliorare la salubrità e la sicurezza degli impianti
  • le innovazioni per l’eliminazione di barriere architettoniche
  • le innovazioni per il miglioramento dei consumi energetici o per l’installazione di impianti di produzione di energia elettrica
  • l’installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a flussi informativi
  • l’installazione di impianti di videosorveglianza sulle parti comuni dell’edificio
  • l’autorizzazione a partecipare a progetti promossi da istituzioni locali o privati qualificati per il recupero del patrimonio edilizio esistente
  • la realizzazione di parcheggi.

La legge prevede poi maggioranze ancora più elevate per specifiche questioni che generalmente si definiscono maggioranze qualificate. Viene infatti richiesta la maggioranza dei partecipanti al condominio (quindi non soltanto degli interventi all’assemblea) che rappresenti almeno i due terzi del valore dell’edificio quando si deve decidere in merito:

  • alle c.d. innovazioni ordinarie
  • alla scelta delle modalità (e delle relative cautele) per l’installazione (da parte dei singoli condomini) di impianti di produzioni di energia da fonti rinnovabili (ad esempio i c.d. pannelli solari) su parti comuni o di utilizzo privato
  • per la nomina del delegato di condominio nelle assemblee di un supercondominio (cioè di un condominio che a sua volta racchiude in se diversi condomini che hanno in comune la gestione di servizi o beni comuni, come ad esempio, giardini, scale, piscine ecc.).

Infine quando è necessario decidere la modificazione della destinazione d’uso delle parti comuni è richiesta la maggioranza dei quattro quinti dei partecipanti al condominio che rappresenti i quattro quinti del valore dell’edificio. Se la delibera non raggiunge la maggioranza richiesta è invalida e può essere impugnata (vedi la scheda sull'impugnazione delle deliberer dell'assemblea). In merito alle maggioranze richieste per la modifica del regolamento di condominio si rinvia alla scheda specifica.

La legge stabilisce che deve essere formato un verbale dell’assemblea. Il verbale è appunto il documento nel quale vengono riassunti i fatti che avvengono nel corso della riunione, i passaggi formali che vengono svolti (costituzione dell’assemblea, verifica delle presenze e delle deleghe, ecc.) e nel quale si dà conto delle delibere che vengono approvate. Questo verbale deve essere trascritto a cura dell’amministratore in un apposito registro che quest’ultimo deve tenere. Il verbale di assemblea è il principale strumento di prova del contenuto delle deliberazioni e delle modalità attraverso le quali esse sono state adottate. Per questo motivo se da un lato il documento deve essere necessariamente sintetico, esso deve comunque dare conto in modo preciso di tutti gli elementi rilevanti e presi in considerazione dalla legge. Ad esempio è sempre opportuno che il contenuto della delibera messa ai voti sia chiaro e non equivocabile, così come è consigliabile dare conto delle dichiarazioni dei condomini che dissentono o propongono delle richieste specifiche attinenti all’amministrazione del condominio. Ciò sia per ridurre al minimo gli eventuali fraintendimenti, in particolare da parte dei condomini assenti, e conseguentemente offrire la migliore ricostruzione dei fatti anche in prospettiva di una eventuale impugnazione.

Gli impianti e i servizi comuni

All'interno dello stabile condominale convivono beni di proprietà esclusiva dei singoli condomini e beni destinati ad essere utilizzati dal complesso dei condomini. Questi ultimi, se non risultano (da altri atti) di proprietà esclusiva di qualcuno dei condomini, sono considerati beni comuni. La legge individua un elenco di beni che si presumono condominiali, ma questo elenco non è tassativo. La questione dell'accertamento della natura condominiale o meno di un bene ha un'importanza pratica notevole, sia sotto l'aspetto della contribuzione alle spese per la sua manutenzione, sia sotto il profilo della responsabilità per i danni causati dalla cosa in se, come nel caso delle infiltrazioni di acqua che derivano dalla rottura di una tubatura.

Le cose comuni all'interno del condominio

Il condominio ha, per sua natura, la caratteristica per la quale all'interno del medesimo edificio coesistono beni di proprietà esclusiva del singolo condomino (tendenzialmente i singoli alloggi) e beni comuni o condominiali. Si considerano beni comuni all’interno del condominio

  • tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, come il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate
  • le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune
  • le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche.

L'elenco contenuto nel codice civile è, comunque, solo esemplificativo in quanto in ogni caso si devono considerare condominiali quei beni e quei servizi che per loro natura sono destinati ad essere utilizzati dal complesso dei condomini e non risultano (da altri atti) di proprietà esclusiva di qualcuno. I condomini devono utilizzare questi beni in modo tale da non impedire agli altri di farne l'uso che risulta dal regolamento di condominio, salva l'applicazione di regole specifiche nel caso in cui vi siano degli accordi tra i condomini stessi o dei limiti che risultano dai singoli atti di vendita (vedi la scheda sull'uso delle cose comuni e i diritti dei condomini).

I muri, il tetto e la facciata

Sono sicuramente beni condominiali i muri perimetrali, i muri, cioè che hanno la funzione di delimitare verso l'esterno il fabbricato condominiale anche se non hanno funzione portante dell'intero edificio. Allo stesso modo la legge espressamente stabilisce che è bene comune la facciata dell'edificio. Ciò significa, per fare un esempio, che anche i proprietari ad esempio dei soli box interrati dovranno partecipare alle spese per un eventuale rifacimento della facciata. Il tetto, infine, è la struttura che ha la funzione di copertura dell'intero edificio e su questo presupposto viene inserito all'interno della categoria dei beni comuni. Lo stesso discorso vale per le altre strutture con funzione di copertura dell'intero edificio. Ovviamente se un tetto o una tettoia servono a coprire unicamente una porzione del fabbricato di proprietà esclusiva di un singolo condomino allora non potranno essere considerati beni condominiali. Si pensi ad un condominio con un cortile all'interno del quale si trova un basso fabbricato di proprietà esclusiva di un solo condomino e adibito, ad esempio, ad officina. La sua copertura ovviamente non potrà essere considerata bene condominiale e le relative spese saranno sostenute soltanto dal proprietario del basso fabbricato.

Il sottotetto

I sottotetti e i solai che hanno caratteristiche tali, strutturali e funzionali, da essere destinati all'uso comune si considerano beni condominiali. Si pensi ad un sottotetto che non ha alcun accesso diretto da parte delle singole unità abitative e che contiene delle strutture o degli impianti funzionali a servizi comuni (come, ad esempio, il c.d. vaso di dilatazione dell'impianto di riscaldamento condominiale). Tutti questi elementi consentono di sostenere che quel sottotetto abbia le caratteristiche per essere considerato un bene comune all'interno del condominio. Ovviamente, per espressa disposizione legislativa, è possibile che negli atti di acquisto risulti che parti del sottotetto (o addirittura il sottotetto nel suo complesso) siano assegnate in proprietà esclusiva ad un singolo condomino.

Balconi

In linea di principio i balconi si considerano elementi del fabbricato di proprietà esclusiva dei singoli condomini che a loro volta sono proprietari dell'alloggio a cui il balcone fa riferimento. Tuttavia spesso i c.d. frontalini (cioè la parte della soletta del balcone che si espone verso l'esterno) dei balconi posti sulla facciata dell'edificio vengono considerati bene condominiale quando hanno rispetto alla facciata una funzione estetica e contribuiscono al decoro complessivo dell'edificio. Allo stesso modo si deve ragionare con riferimento alle ringhiere. Esse, infatti, hanno la funzione di consentire di utilizzare il balcone in sicurezza evitando quindi cadute. Per questo motivo, in linea di massima, le ringhiere sono da considerarsi beni di proprietà esclusiva del soggetto che è a sua volta proprietario del balcone. Se però le ringhiere per i materiali utilizzati o per le forme particolari contribuiscono all'estetica della facciata è possibile considerarli beni condominiali. La piattaforma del balcone, invece, viene generalmente considerata bene di proprietà esclusiva. Il discorso è però diverso se la piattaforma svolge la funzione di copertura di un bene sottostante (un altro balcone, una terrazza). In questo caso al vantaggio del proprietario della soletta (che la può utilizzare per affacciarsi) si somma quello del proprietario dell'alloggio al piano inferiore che può beneficiare di una copertura. In questi casi, allora, si ritiene che il bene sia comune tra i due soggetti. Per questo motivo la manutenzione della pavimentazione del balcone sarà a carico del condomino proprietario dell'alloggio al piano superiore, mentre quella del plafone (cioè della parte inferiore della soletta) sarà a carico del condomino al piano inferiore il quale, per contro, potrà utilizzare la soletta ad esempio per ancorare una copertura, delle tende piuttosto che la struttura portante di una veranda.

I cortili e i parcheggi

Non c'è alcun dubbio circa il fatto che il cortile condominiale sia da considerare un bene comune, tranne nel caso in cui dovesse risultare (da atti di vendita) che è stato (in tutto o in parte) attribuito in proprietà esclusiva da uno dei condomini. Resta in ogni caso fermo il potere dell'assemblea di regolarne l'utilizzo tramite apposite prescrizioni contenute nel regolamento condominiale. Va però precisato che (salvo il caso in cui concordino tutti i condomini) queste prescrizioni non possono escludere o limitare l'utilizzo del cortile da parte di uno dei condomini. Il medesimo discorso vale per le aree adibite a parcheggio condominiale, il cui utilizzo (e l'eventuale assegnazione dei posti) viene generalmente disciplinato dal regolamento condominiale. Questi principi valgono ovviamente nell'ipotesi in cui le aree non siano di proprietà esclusiva del singolo condomino. È infatti frequente il caso in cui la costruzione di un edificio viene accompagnata dalla costruzione di specifiche aree di parcheggio che vengono legate alla proprietà di una singola unità immobiliare e vanno quindi a fare parte del patrimonio del proprietario dell'alloggio. Si tratta dei c.d. parcheggi pertinenziali che non rientrano nella categoria dei beni comuni al condominio.

Ascensore

L'ascensore è tipicamente un servizio di natura condominiale e, pertanto, la struttura viene assegnata in comproprietà ai condomini in relazione ai rispettivi millesimi. Non è raro, tuttavia, che un impianto di ascensore venga installato all'interno di uno stabile che in precedenza ne era privo. In questi casi è possibile che non tutti i condomini vogliano o siano in grado di sostenerne la spesa (che generalmente è corposa). Per questi motivi, trattandosi di innovazione particolarmente onerosa che tuttavia può essere installata in modo da consentirne l'utilizzo separato in favore dei soli condomini favorevoli, i condomini contrari saranno esonerati dalle spese.

Portineria

I locali destinati al servizio di portineria compresi gli alloggi del portiere sono beni condominiali. Può tuttavia capitare che il servizio di portineria venga soppresso o venga comunque meno. In questo caso l'assemblea condominiale può decidere di modificare la destinazione d'uso dei locali con la maggioranza prevista per le modificazioni delle destinazioni d'uso e quindi con la maggioranza dei quattro quinti dei partecipanti al condominio che rappresenti i quattro quinti del valore dell’edificio.

Servizio di riscaldamento

L'impianto di riscaldamento è un altro esempio di struttura destinata al servizio dell'intero condominio e, pertanto, deve essere considerato come un bene condominiale. L'eccezione a questa regola è rappresentata dalle ipotesi in cui alcuni alloggi o unità immobiliari non sia collegati e serviti dall'impianto di riscaldamento condominiale e neppure ad esso collegabili. In questo caso si ritiene che queste unità immobiliari non debbano essere coinvolte nelle vicende dell'impianto stesso a cui non sono comuni. La legge peraltro stabilisce che ciascun condomino ha il diritto di distaccarsi dall'impianto di riscaldamento comune a patto che da questo atto non derivino:

  • notevoli squilibri di funzionamento per l'impianto
  • notevoli aggravi di spese per gli altri condomini.

Anche in questa ipotesi, peraltro, il condomino che ha proceduto al distacco deve comunque contribuire alle spese collegate all'impianto ed, in particolare, a quelle

  • di manutenzione straordinaria
  • di messa a norma
  • per la sua conservazione.

Tubi e canne fumarie

Stabilire se le tubature di un impianto che corre all'interno o all'esterno della struttura dell'edificio è un bene di proprietà esclusiva dei singoli condomini oppure un bene condominiale ha un'importanza centrale soprattutto nelle situazioni in cui dalla rottura del tubo derivano dei danni a terzi oppure ad altri condomini. Si pensi alla rottura di una tubazione della quale fuoriesce acqua che produce una infiltrazione all'interno di uno degli appartamenti. La regola generale ormai pacificamente applicata prevede che siano da considerare condominiali le tubazioni dell'impianto principale, mentre siano da ritenere di proprietà esclusiva le diramazioni che portano il servizio all'interno delle singole unità abitative. Per questo motivo la braga, che è appunto un tubo di connessione, viene considerato un bene di proprietà esclusiva del singolo condomino. Quanto alle canne fumarie va fatta qualche precisazione. Certamente sono da considerare beni condominiali le canne fumarie (e gli altri tubi che consentono l'esalazioni dei fumi) relativi a quegli impianti che hanno essi stessi natura condominiale, come ad esempio l'impianto di riscaldamento comune. Tuttavia può capitare, soprattutto negli stabili molto vecchi, che siano state create delle canne fumarie per il camino di una singola unità abitativa oppure per gli scarichi di un gruppo di unità abitative. Nel primo caso la canna fumaria dovrà essere considerata proprietà esclusiva del condomino proprietario dell'unità abitativa in questione. Nel secondo caso la canna fumaria sarà in comunione tra i proprietari degli alloggi interessati. Occorre quindi sempre verificare se l'impianto in effetti è posto al servizio dell'intero condominio o soltanto di una parte di esso.

Danni provenienti da cose comuni o di proprietà esclusiva

La distinzione tra beni condominiali e di proprietà esclusiva è rilevante non soltanto per stabilire chi deve contribuire alle spese per la manutenzione e la riparazione; infatti è possibile che da un bene collocato all'interno di un condominio derivino dei danni a terzi. Per questo motivo se il danno deriva da un bene in proprietà esclusiva del singolo condomino quest'ultimo sarà tenuto al risarcimento del danno. Per contro se il bene è condominiale il risarcimento verrà posto a carico dell'intero condominio e, quindi, successivamente ripartito tra i singoli condomini in ragione dei rispettivi millesimi di proprietà.

 

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